Ici/Imu: l’esenzione per l’ente religioso presuppone l’utilizzo concreto dell’immobile

Corte di Cassazione, Sentenza n. 27242 del 15 settembre 2022

Nella Sentenza in epigrafe indicata, un Comune accertava l’omesso versamento da parte di un Seminario Vescovile dell’Ici per l’anno di imposta 2008, in relazione ad un complesso immobiliare, ritenendo non applicabili le condizioni dell’esenzione prevista dall’art. 7, comma l lett. i), del Dlgs. 504/1992. La Suprema Corte rileva che l’art. 7, comma 1 lett. i), del Dlgs. n. 504/1992 nel testo ratione temporis applicabile (come modificato dall’art. 39 del Dl. n. 223/2006, convertito con modificazioni nella Legge n. 248/2006, in vigore dal 4 luglio 2006 sino alla sua sostituzione con l’Imu, a partire dal gennaio 2012), disponeva l’esenzione dal pagamento dell’Ici per “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lett. c), del Dpr. n. 917/1986 e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonchè delle attività di cui all’art. 16, lett. a), della Legge n. 222/1985”. L’esenzione in esame risultava (e risulta), quindi, ancorata alla coesistenza di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento delle suindicate attività da parte di un ente che non aveva come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, e di un requisito oggettivo, rappresentato dall’utilizzo del bene destinato alle attività ivi indicate, aventi natura “non esclusivamente commerciale”. La Suprema Corte chiarisce che ai fini dell’esenzione deve prevalere la permanenza potenziale della destinazione, restando irrilevante l’eventuale impossibilità temporanea di utilizzo effettivo del bene e che la perdita dell’esenzione in oggetto può giustificarsi soltanto in presenza di una situazione di fatto o di una scelta dell’ente pubblico che determini l’irreversibile inutilizzabilità del bene per l’attuazione delle finalità istituzionali (come nel caso del venir meno della sua disponibilità), non essendo sufficiente a tal fine la sopravvenienza di una materiale interruzione (ancorché di imprevedibile durata) nella latente continuità della vocazione funzionale del bene, anche se il ripristino dell’originaria destinazione (seppure in relazione strumentale ad un diverso settore della medesima amministrazione) possa dipendere dalle scelte organizzative o dalle esigenze finanziarie dell’ente pubblico. Dunque, deve essere riconosciuta l’irrilevanza del mero temporaneo inutilizzo del bene per ragioni più o meno transitorie, contando, invece, ai fini della perdita del beneficio, il venir meno del carattere strumentale dell’immobile rispetto alle attività cui era destinato. Resta così fermo l’ordine di idee secondo cui “il mancato utilizzo effettivo dell’immobile, per essere irrilevante ai fini del riconoscimento dell’esenzione, deve avere una “causa” che ne escluda il possibile significato che sia cessata la strumentalità”, giustificazione questa che, nella fattispecie in rassegna, era esigibile a fronte del significativo protrarsi della situazione dell’inutilizzo del bene per lo scopo cui era destinato. Dunque, l’esonero previsto per gli enti non commerciali non è attribuibile in caso di immobile che, pur avendo avuto una destinazione ad attività religiosa, di fatto non è più utilizzato a tale scopo. Nello specifico, l’effettività e la concretezza dell’attività devono investire non tanto l’utilizzo, inteso come svolgimento attuale e diretto delle attività previste dalla norma (che può anche venir meno per ragioni transitorie e contingenti), bensì la destinazione impressa all’immobile dal soggetto che lo utilizza.