Corte di Cassazione, Ordinanza n. 11072 del 24 aprile 2024
Nella fattispecie in esame, la Suprema Corte ha affrontato la questione riguardante l’applicazione dell’Imu, sulla definizione di “abitazione principale”. La discussione si è incentrata sul cambiamento legislativo che ha introdotto il concetto di “nucleo familiare” nella determinazione dell’abitazione principale, e su come questo cambiamento abbia influenzato il diritto all’esenzione o alla riduzione dell’Imu. Prima del 2012, l’Imu non si applicava all’abitazione principale e alle sue pertinenze (categorie catastali C/2, C/6, C/7). L’abitazione principale era definita come l’immobile in cui il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. L’esenzione dall’Imu era riconosciuta indipendentemente dallo status familiare del possessore. Dal 2012, con l’art. 4, comma 5, lett. a), del Dl. n. 16/2012, si introduce il riferimento al “nucleo familiare” per identificare l’immobile destinatario dell’agevolazione. L’agevolazione (riduzione dell’aliquota al 0,4% con detrazione di Euro 200) si applica per un solo immobile se i componenti del nucleo familiare hanno dimore abituali e residenze anagrafiche in immobili diversi. Poi, la Legge n. 147/2013 ha reintrodotto l’esenzione completa per l’abitazione principale, tranne per categorie di lusso (A/1, A/8, A/9). L’art. 1, comma 741, della Legge n. 160/2019 ha consolidato la definizione includendo i componenti del nucleo familiare nella definizione di abitazione principale. Diverse Sentenze hanno evidenziato la problematica per coniugi con residenze in Comuni diversi, rischiando di negare l’esenzione per l’abitazione principale.
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di porzioni delle norme che definivano l’abitazione principale includendo l’intero nucleo familiare per il riconoscimento dell’agevolazione. Recentemente, l’art. 5-decies del Dl. n. 146/2021, ha modificato la normativa permettendo l’applicazione delle agevolazioni anche se i componenti del nucleo familiare risiedono in Comuni diversi, scegliendo un immobile per il nucleo familiare. Recentemente la Corte di Cassazione ha affermato che è sufficiente che nell’immobile risieda il possessore, anche se il coniuge risiede altrove. Questo non configura una “seconda casa” e non impedisce l’esenzione come abitazione principale. I coniugi possono avere residenze diverse per giusta causa o accordi familiari, senza perdere l’agevolazione Imu. La Suprema Corte ha ripristinato il diritto all’esenzione per ciascuna abitazione principale per persone legate da vincoli di coniugio o unione civile con residenze separate per necessità. In conclusione, la giurisprudenza ha evoluto la definizione di “abitazione principale” per l’Imu, stabilendo che l’esenzione o la riduzione si applica all’immobile in cui il possessore ha la residenza anagrafica e la dimora abituale, indipendentemente dal resto del nucleo familiare.
Questo orientamento assicura il rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva. Peraltro, la Suprema Corte chiarisce che l’esenzione dall’Imu per i luoghi di culto non è ristretta solo agli immobili classificati in E/7. Anche le cappelle private e gli oratori classificati in B/7 sono inclusi, purché siano destinati esclusivamente al culto e questa destinazione sia compatibile con la Costituzione. Pertanto, l’interpretazione delle norme deve essere ampia per includere tutte le destinazioni d’uso legate all’esercizio del culto, sia pubblico che privato.